Alcuni punti fermi
A Saint Vincent ho avuto modo di trascorrere parecchio tempo con Giovanni Genotti, uno dei padri del bonsaismo italiano.
Siamo a pranzo assieme e gli chiedo alcuni pareri che trascrivo integralmente perché possano rimanere come principi di uno dei padri del bonsai italiano. Negli ultimi tempi, è Giovanni che parla, ho visto esposti molti bonsai e quasi esclusivamente conifere. Nessuna di tali piante era stata educata da tempo ma di recente gli era stata imposta una forma.
Erano piante adulte cresciute in natura con difficoltà e ferrate con fili di rame per imporre un'estetica. Penso che ogni essere vivente accumulando esperienze nella sua vita arriva alla maturità esprimendo in modo personale unico e anche armonioso se stesso. La pianta, eliminando di volta in volta il superfluo giunge alla maturità, come si richiede nel bonsai, ed acquista l'equilibrio della vita che se giustamente indirizzato si associa ad un equilibrio estetico.
Il bonsaista quindi, educando con tecniche particolari di posizionamento e potatura dovrebbe arrivare a tale equilibrio prima del processo naturale e mantenere dell'albero la sua personalità. Nessun albero dovrebbe essere esposto con fili di sostegno ma dopo l'impostazione col filo e la stabilizzazione dei rami i tutori devono essere tolti perché la pianta deve esprimersi, essere libera di crescere e vivere ed il bonsaista dopo la rimozione dei tutori l'aiuta procedendo esclusivamente per potature.
I bonsai esposti in mostra come recentemente ho visto sono quasi tutti provenienti da yamadori ed indirizzando i pochi rami appaiono esteticamente perfetti ma freddi, senz'anima, incapaci di suscitare sensazioni o anche soltanto richiamare le sofferenze patite e superate denunciati dai tronchi parzialmente rimarginati.
Dopo avere visto pochi esemplari ci si rende conto che l'interesse che nasce dall'amore per la natura non esiste e non si riesce a captare nessun sentimento di astrazione vitale ma appare un'estetica fine a se stessa in un essere vivente che viene evidentemente violentato, non educato poiché si impone spesso una forma non rispondente alla natura dell'albero.
Appare anche evidente come la forma ad ombrello delle chiome artificialmente costruite senza tenere conto della struttura portante e con essa spesso stride. La parte basale sofferente, contorta con shari e sabamiki molto interessanti contrasta con la chioma giovane ed equilibratissima.
Si nota inoltre come i bonsaisti moderni non abbiano esperienze sui vari tipi di piante e trattano solamente conifere meno soggette a traumi per torsioni, posizioni e ferrature.
Le caducifoglie vengono quasi disprezzate anche perché penso non conoscano le loro reazioni e non sanno potarle.
La potatura è la tecnica indispensabile per trattare latifoglie. Una considerazione ancora. Ogni buon bonsaista specie se forma una cosiddetta scuola deve, a mio avviso, imparare a formare bonsai nei precisi stili per poi superarli. E' come imparare a scrivere. Prima si tracciano le sillabe perfette in corsivo o stampatello poi, acquisite le loro forme, ognuno le scrive in modo personale tanto da evidenziare addirittura il proprio carattere.
Specialmente per le piante raccolte in natura è indispensabile conoscere la reattività dell'albero, la forza e la consistenza dei diversi vasi linfatici che si innalzano dal tronco e giungono ai rami per potere riequilibrarli e far sì che le fronde siano concordi con il tronco che le sorregge. La tendenza attuale è ottenere subito un risultato tagliando all'albero la forza vitale e la capacità di suscitare in chi lo osserva un qualsiasi rapporto di comunicabilità.
E' una moda che esprime dominio e allontana dalla partecipazione alla vita. Il bonsai moderno è freddo, non è educato ma costruito per imposizione ed il risultato è una perdita di quel valore che dà modo alla pianta di comunicare. A mio avviso tale modo va verso una denaturalizzazione del bonsai. Forse un giorno si creeranno bonsai mettendo la chioma nella terra e le radici all'aria e chiameremo questo bonsai artistico. Il bonsai è raggiungere nella pianta l'astrazione della forma rispondente alla natura dell'albero con l'eliminazione del superfluo.
E' quindi un continuo evolversi dell'albero in climi e condizioni diverse che si susseguono e che sull'aspetto restano segni. Il bonsai moderno è sottoposto a regole e rapporti applicabili a cose inanimate. La fredda staticità che ne deriva è priva di personalità e incapace di comunicare neppure i momenti della sua vita perché cancellati nella falsità. Il bonsai moderno non ha modo di crescere e l'impersonalità è legata all'impersonalità del moderno bonsaista. Il bonsai moderno oggi ha perso quel colloquio che il bonsaista ha con la natura, colloquio che lo rende partecipe al mondo della natura. Il bonsai moderno va verso una immobile staticità inanimata.
Il discorso con Giovanni approda adesso verso un altro argomento che sta, o dovrebbe stare a cuori a tutti perché riflette direttamente l'immagine del bonsaismo italiano: l'associazionismo.
Genotti così continua: l'italiano a mio avviso è molto individualista e quindi le associazioni hanno una vita difficile, Non c'è umiltà, tutti hanno la coda di paglia e si instaurano rapporti non sinceri specialmente con chi dovrebbero confrontarsi. Tutti vogliono per orgoglio il potere, si considerano migliori, più bravi degli altri e detentori della verità. Solamente se esiste un direttivo fermo, privo di interessi personali con finalità positive non dettate da ripicche si può avere un'associazione stabile. Le associazioni specialmente quelle italiane hanno perciò difficoltà a resistere.
Ho visto sorgere, unirsi, disfarsi, morire e nuovamente sorgere associazioni che se pur valide nei principi teorici, prevalendo interessi personali sono cadute senza lasciare un risultato positivo ai fini della diffusione a matoriale del vero bonsai.
Non si deve vendere fumo per arrosto come è accaduto e accade soprattutto per alcuni giovani che avendo possibilità di tempo e danaro non rispettano il vero bonsaista che cura con amore anche le più umili piante e disprezzano quelle che secondo il loro modo di vedere non diventeranno mai capolavori.
Il bonsaista quindi, educando con tecniche particolari di posizionamento e potatura dovrebbe arrivare a tale equilibrio prima del processo naturale e mantenere dell'albero la sua personalità. Nessun albero dovrebbe essere esposto con fili di sostegno ma dopo l'impostazione col filo e la stabilizzazione dei rami i tutori devono essere tolti perché la pianta deve esprimersi, essere libera di crescere e vivere ed il bonsaista dopo la rimozione dei tutori l'aiuta procedendo esclusivamente per potature.
I bonsai esposti in mostra come recentemente ho visto sono quasi tutti provenienti da yamadori ed indirizzando i pochi rami appaiono esteticamente perfetti ma freddi, senz'anima, incapaci di suscitare sensazioni o anche soltanto richiamare le sofferenze patite e superate denunciati dai tronchi parzialmente rimarginati.
Dopo avere visto pochi esemplari ci si rende conto che l'interesse che nasce dall'amore per la natura non esiste e non si riesce a captare nessun sentimento di astrazione vitale ma appare un'estetica fine a se stessa in un essere vivente che viene evidentemente violentato, non educato poiché si impone spesso una forma non rispondente alla natura dell'albero.
Appare anche evidente come la forma ad ombrello delle chiome artificialmente costruite senza tenere conto della struttura portante e con essa spesso stride. La parte basale sofferente, contorta con shari e sabamiki molto interessanti contrasta con la chioma giovane ed equilibratissima.
Si nota inoltre come i bonsaisti moderni non abbiano esperienze sui vari tipi di piante e trattano solamente conifere meno soggette a traumi per torsioni, posizioni e ferrature.
Le caducifoglie vengono quasi disprezzate anche perché penso non conoscano le loro reazioni e non sanno potarle.
La potatura è la tecnica indispensabile per trattare latifoglie. Una considerazione ancora. Ogni buon bonsaista specie se forma una cosiddetta scuola deve, a mio avviso, imparare a formare bonsai nei precisi stili per poi superarli. E' come imparare a scrivere. Prima si tracciano le sillabe perfette in corsivo o stampatello poi, acquisite le loro forme, ognuno le scrive in modo personale tanto da evidenziare addirittura il proprio carattere.
Specialmente per le piante raccolte in natura è indispensabile conoscere la reattività dell'albero, la forza e la consistenza dei diversi vasi linfatici che si innalzano dal tronco e giungono ai rami per potere riequilibrarli e far sì che le fronde siano concordi con il tronco che le sorregge. La tendenza attuale è ottenere subito un risultato tagliando all'albero la forza vitale e la capacità di suscitare in chi lo osserva un qualsiasi rapporto di comunicabilità.
E' una moda che esprime dominio e allontana dalla partecipazione alla vita. Il bonsai moderno è freddo, non è educato ma costruito per imposizione ed il risultato è una perdita di quel valore che dà modo alla pianta di comunicare. A mio avviso tale modo va verso una denaturalizzazione del bonsai. Forse un giorno si creeranno bonsai mettendo la chioma nella terra e le radici all'aria e chiameremo questo bonsai artistico. Il bonsai è raggiungere nella pianta l'astrazione della forma rispondente alla natura dell'albero con l'eliminazione del superfluo.
E' quindi un continuo evolversi dell'albero in climi e condizioni diverse che si susseguono e che sull'aspetto restano segni. Il bonsai moderno è sottoposto a regole e rapporti applicabili a cose inanimate. La fredda staticità che ne deriva è priva di personalità e incapace di comunicare neppure i momenti della sua vita perché cancellati nella falsità. Il bonsai moderno non ha modo di crescere e l'impersonalità è legata all'impersonalità del moderno bonsaista. Il bonsai moderno oggi ha perso quel colloquio che il bonsaista ha con la natura, colloquio che lo rende partecipe al mondo della natura. Il bonsai moderno va verso una immobile staticità inanimata.
Il discorso con Giovanni approda adesso verso un altro argomento che sta, o dovrebbe stare a cuori a tutti perché riflette direttamente l'immagine del bonsaismo italiano: l'associazionismo.
Genotti così continua: l'italiano a mio avviso è molto individualista e quindi le associazioni hanno una vita difficile, Non c'è umiltà, tutti hanno la coda di paglia e si instaurano rapporti non sinceri specialmente con chi dovrebbero confrontarsi. Tutti vogliono per orgoglio il potere, si considerano migliori, più bravi degli altri e detentori della verità. Solamente se esiste un direttivo fermo, privo di interessi personali con finalità positive non dettate da ripicche si può avere un'associazione stabile. Le associazioni specialmente quelle italiane hanno perciò difficoltà a resistere.
Ho visto sorgere, unirsi, disfarsi, morire e nuovamente sorgere associazioni che se pur valide nei principi teorici, prevalendo interessi personali sono cadute senza lasciare un risultato positivo ai fini della diffusione a matoriale del vero bonsai.
Non si deve vendere fumo per arrosto come è accaduto e accade soprattutto per alcuni giovani che avendo possibilità di tempo e danaro non rispettano il vero bonsaista che cura con amore anche le più umili piante e disprezzano quelle che secondo il loro modo di vedere non diventeranno mai capolavori.
Ho avuto il privilegio e l'onore di raccogliere queste dichiarazioni dal maestro Genotti. Credo che Giovanni sia anche maestro di vita e di anni col bonsai ne ha passati tantissimi e tanti ne passerà ancora, giorno dopo giorno, appresso alle sue piante. Oltre che apprezzare, condivido appieno il suo pensiero e la sua maniera di fare bonsai.
Dovrebbe essere uguale per tutti.
Senza esagerati interessi, smodati protagonismi, false passerelle, improbabili personaggi. Ci guadagneremmo tutti e ci guadagnerebbe soprattutto il bonsaismo italiano.
Dovrebbe essere uguale per tutti.
Senza esagerati interessi, smodati protagonismi, false passerelle, improbabili personaggi. Ci guadagneremmo tutti e ci guadagnerebbe soprattutto il bonsaismo italiano.