La Cerimonia del te
Un' interpretazione per occidentali di Julia V. Nakamura
Recensione di Annalisa Somma
Da secoli, in piccoli padiglioni circondati da giardini curati in ogni dettaglio o in semplici stanze adorne di pochi eleganti oggetti, si tiene ogni giorno il chanoyu (letteralmente: acqua calda per il tè), più noto come cerimonia del tè.
Questo rito laico, che richiede infinita dedizione, trova nella sua complessità la fonte del suo fascino e ─ al tempo stesso ─ la ragione di interpretazioni lacunose, soprattutto al di fuori del Sol Levante.
Se il celebre Lo zen e la cerimonia del tè di Kazuko Okakura, divenuto oramai un classico, mostra una prospettiva piuttosto tradizionalista e, per certi versi, chiusa, La cerimonia del tè. Una interpretazione per occidentali di Julia V. Nakamura (Stampa Alternativa, pp. 96, 8 €) punta più decisamente (come suggerisce il titolo) a illustrare in modo piano e scorrevole molteplici aspetti della tematica, ripercorrendo in parallelo le principali tappe storiche dell’uso dell’ambrata bevanda in Giappone.
L'autrice svela la triplice articolazione del rituale, che si compone di kaiseki (pasto raffinato), koicha (consumo di un tè denso e pregiato) e usacha (consumo di un tè leggero), descrivendo inoltre con dovizia di particolari la sobria ricercatezza dell'ambiente, ispirata ai valori estetici nipponici del wabi-sabi (l'imperfetto fascino degli oggetti conferito dalla patina del tempo), del fura (spirito della beltà nella natura) e dello shibui (bellezza quasi severa nella sua essenzialità).
E così sfilano dinanzi agli occhi dei lettori antiche tazze, composizioni di ikebana, personaggi reali o di fantasia, ceramiche di fattura squisita e leggende senza tempo, come quella del monaco buddhista Daruma, che ─ preso dalla rabbia per essersi addormentato dopo sette anni di meditazione ─ si strappò le palpebre e le gettò in terra: da esse nacquero i germogli di tè.
Questo rito laico, che richiede infinita dedizione, trova nella sua complessità la fonte del suo fascino e ─ al tempo stesso ─ la ragione di interpretazioni lacunose, soprattutto al di fuori del Sol Levante.
Se il celebre Lo zen e la cerimonia del tè di Kazuko Okakura, divenuto oramai un classico, mostra una prospettiva piuttosto tradizionalista e, per certi versi, chiusa, La cerimonia del tè. Una interpretazione per occidentali di Julia V. Nakamura (Stampa Alternativa, pp. 96, 8 €) punta più decisamente (come suggerisce il titolo) a illustrare in modo piano e scorrevole molteplici aspetti della tematica, ripercorrendo in parallelo le principali tappe storiche dell’uso dell’ambrata bevanda in Giappone.
L'autrice svela la triplice articolazione del rituale, che si compone di kaiseki (pasto raffinato), koicha (consumo di un tè denso e pregiato) e usacha (consumo di un tè leggero), descrivendo inoltre con dovizia di particolari la sobria ricercatezza dell'ambiente, ispirata ai valori estetici nipponici del wabi-sabi (l'imperfetto fascino degli oggetti conferito dalla patina del tempo), del fura (spirito della beltà nella natura) e dello shibui (bellezza quasi severa nella sua essenzialità).
E così sfilano dinanzi agli occhi dei lettori antiche tazze, composizioni di ikebana, personaggi reali o di fantasia, ceramiche di fattura squisita e leggende senza tempo, come quella del monaco buddhista Daruma, che ─ preso dalla rabbia per essersi addormentato dopo sette anni di meditazione ─ si strappò le palpebre e le gettò in terra: da esse nacquero i germogli di tè.