Percepire il Wabi-Sabi
Cercherò di illustrare in maniera chiara tutto quello che ho compreso e percepito sul wabi e sabi
dal Maestro H. Suzuki anche se, con esempi concreti si rischia di diventare un po’ banali. Questi principi estetici una volta acquisiti influenzano fortemente il modo di intendere il bonsai e lavorare gli alberi.
Voglio perciò con questo scritto, condividere con voi questa fonte inesauribile d’inspirazione... e di dubbio. Che cosa è wabi sabi? Se facciamo questa domanda ad un giapponese ci sarà probabilmente un lungo silenzio. Perché per i giapponesi il sabi e wabi non è legato rigidamente ad un elenco di caratteristiche fisiche. Piuttosto, è una coscienza estetica profonda che trascende l’aspetto. Può essere sentito ma raramente può essere verbalizzato, molto meno definito. Illustrare il wabi sabi in termini fisici è come spiegare il gusto di un pezzo di cioccolato dalla sua forma e colore a qualcuno che non l’ha mai assaggiato.
Per vedere la sua vera essenza bisogna valutare oltre l’apparenza, guardare oltre. Wabi e sabi sono parole per descrivere i sentimenti, non per l’aspetto fisico degli oggetti. E‘ un modo per calarsi nella natura attraverso le piccole cose. E‘ uno dei modi di “percepire” la natura, di “percepire” la bellezza. La caratteristica originale del wabi si basa sulla solitudine, sul distacco dalla società vissuta dall’eremita, suggerendo nel pensiero popolare miseria ed una triste desolazione. Solo dal XIV secolo in Giappone sono state attribuite qualità positive al Wabi e quindi applicate. L’isolamento cercato e la povertà volontaria dell’eremita e dell’asceta vengono considerati un’occasione di ricchezza spirituale.Infatti, wabi indica letteralmente la povertà, ma non quella riferita alla mancanza di beni materiali, ma alla non dipendenza da beni materiali.
Wabi è una rinuncia dei beni materiale che supera la ricchezza materiale. Wabi è la semplicità che si è scrollato di dosso i beni materiali al fine di un rapporto diretto con la natura e la realtà.
Questa assenza di dipendenza permette anche di liberarsi dall’orpello, dallo sfarzo. Wabi è l’appagamento sereno con le semplici cose. Precorre l’applicazione dei principi estetici applicati ad oggetti e alle arti, cioè all’essere Sabi. La vita dell’eremita venne ad essere chiamata in Giappone: wabizumai, sostanzialmente “la vita di wabi”, una vita di solitudine e semplicità.
Sabi come l’espressione di valori estetici è costruita sui principi metafisici e spirituali dello Zen. Sabi indica i processi naturali prodotti su oggetti che sono imperfetti, modesti, e sfuggenti. Gli oggetti riflettono un flusso universale di “provenienti da” e “ritorno a”.
Il poeta giapponese Basho trasformato in wabizumai ha vissuto in poesia il sabi, e la malinconia della natura è diventata una sorta di nostalgia per l’assoluto. I principi di progettazione di Sabi sono state applicate nell’ambito delle espressioni culturali giapponesi, compresi giardini, la poesia, la ceramica, i bonsai, la calligrafia, cerimonia del tè, ikebana, tiro con l’arco, musica e teatro. Il termine incarna una sensibilità estetica e raffinata che era molto evidente nell’arte antica giapponese e cinese e nella letteratura. I giapponesi e i cinesi non sono nati con questa sensibilità estetica. Loro l’hanno sviluppata attraverso lo studio della letteratura classica, dello shodo e specialmente della poesia.
Consideriamo questo haiku famoso: ”Mentre mangio i Cachi, sento la campana del Tempio“. Questa poesia rappresenta bene la sensazione di WABI SABI, esprime con questa forma di pochissime parole, in tutto diciassette sillabe, una sensazione molto forte. In questo caso il Tempio è quello di Nara, antica città, già capitale del Giappone prima di Kyoto, e rappresenta tutti i Templi giapponesi nei quali la campana suona di sera, verso il tramonto.
Il suo suono è molto malinconico, nel completo silenzio esalta la sensazione di wabi e sabi. La funzione del frutto del Caco è quella di evidenziare che la stagione è l’autunno. La poesia quindi esprime questa scena: l’ambiente è un po’ buio, una persona anziana, verso sera, sta mangiando un Caco, è autunno, in lontananza, nell’aria umida, si sente vibrare il suono della campana che proviene dal Tempio. Tutto è vetusto, o meglio, antico. Questi versi richiamano una coscienza estetica profondamente personale, una miscela agrodolce della solitudine e della serenità, un senso di scoramento che fornisce un appoggio per liberarsi dagli intralci delle cose materiali. Questo è quello che s’intende per wabi sabi.
Da questo esempio possiamo capire, che sono molti i fattori che determinano questa sensazione: la stagione, il momento della giornata, l’ambiente, la forma il colore, il proprio sentimento. Quando tutto ciò si fonde, allora si può veramente “sentire” WABI SABI.
Per quanto riguarda la stagione, questa non deve dare sensazioni troppo violente o forti. Il periodo migliore è la fine dell’autunno, non è più caldo, le foglie diventano rosse e il sentimento che proviamo assomiglia un po’ alla malinconia, all’abbattimento.In questo stato d’animo è facile entrare nell’atmosfera di wabi sabi. L’ora del giorno è data dall’intensità della luce del sole, wabi sabi si avverte un attimo prima che il sole cali completamente, quando si vede ancora qualcosa: delle ombre. In quel momento percepiamo una sensazione di tristezza, mestizia. Per quanto riguarda l’ambiente, non deve essere nuovo, lucido ma vecchio, opaco, antico. Una capanna in montagna, una cascina vecchia su un altopiano, l’interno di una casa antica, sono tutte condizioni che favoriscono wabi e sabi. È una sensazione quindi che non permane. Dovremmo sforzarci di provare a percepirla questa sensazione e non arrivare a conoscerla attraverso la ragione. Chiaramente, questa coscienza estetica non è riservata solo agli asiatici. Basta guardare le immagini delle sedie vuote del fotografo Andre Kertesz, o il cortile centrale nella casa in Abiquiu di Georgia O’Keeffe (pittrice statunitense) per riconoscere una consapevolezza estetica simile.
Il Wabi-Sabi non è uno stile definito dall’aspetto superficiale. È un ideale estetico, uno stato quieto e sensibile della mente, raggiungibile imparando a vedere l’impercettibile, togliendo via quello che non è necessario.
Vediamo adesso questa sensazione trasferita al bonsai. Si inizierà a percepire qualcosa soltanto quando, con gli anni, il vaso e la pianta saranno diventate tutt’uno e sarà cresciuto il muschio. Quindi il bonsai non deve essere stato impostato di recente ma deve aver subito molti anni di mochikomi. Essere interessante dai piccoli dettagli, spesso ignorati, inaccessibili alla prima occhiata.
La vecchiaia del bonsai non è solo la sua età effettiva, ma, soprattutto, va ricercata nell’aspetto di albero maturo, che è evidente frutto di un’attenta coltivazione (mochikomi): la corteccia deve essere molto vecchia, incisa profondamente, gli aghi molto compatti perché con gli anni diventano più corti e più folti, anche il nebari deve dare la sensazione del tempo passato coperto di vecchi muschi e licheni dalle sfumature delicate di grigio verde.
La pianta deve essere molto raffinata, ed esprimere dolcezza e calore, semplicità, purezza, la rimozione di ogni artificio inutile. Le ramificazioni dei rami molto fitti, con movimenti che testimoniano di anni ed anni di lavoro. Il colore del vaso deve avere una patina di vecchio con delle imperfezioni dello smalto su un vaso antico. Il Wabi del nostro bonsai passa dalle storie che i nostri alberi dicono. L’esposizione deve focalizzarsi solo su un oggetto raffinato ed essenziale ed isolare lo spazio da tutto il resto. Niente deve disturbare la concentrazione. Per i giapponesi questo ambiente può essere il Tokonoma. Il Tokonoma è realizzato all’interno, in tre stagioni: non in estate perché è troppo caldo. Infatti, anche la temperatura è importante così come l’illuminazione che deve essere sempre bassa. Quando ci sono tutte queste condizioni il Bonsai provoca la sensazione di Wabi Sabi, impossibile in un ambiente troppo luminoso, troppo freddo, troppo caldo, troppo appariscente, stravagante.
Essi esprimono entrambi un entrare in contatto con l’anima del la natura attraverso le piccole cose, il sentirne la bellezza nel profondo fino a provare una sorta di tristezza malinconica. Si può dire che wabi è suscitato da sobrietà, frugalità, umiltà, da tutto ciò che non è eccessivo o estremo, dall’utilizzo delicato ed elegante di materiali semplici, poveri, grezzi; sabi è tutto questo, però legato anche allo scorrere del tempo:
è il muschio che ricopre le rocce, il senso di antico, polveroso, non nuovo o lucido ma opaco, ricco di storia e prestigio, è il fascino delle cose vecchie che pur arrugginite o rotte si mantengono ancora bene, eleganti, maestose.
Tutto ciò, va visto come un’opportunità per riappropriarci dei ritmi e dei valori veri della vita, che possiamo ritrovare solo nell’avvicinarci in modo umile alla natura.
Letture utili: Leonard Koren "Wabi-Sabi" Per Artisti, Designer, Poeti e Filosofi