Principi del Kado

Imparare l'arte dell'ikebana non vuol dire prendere lezioni su come si dispongono i fiori in maniera artistica, ma compenetrare una visione del mondo aliena al nostro modo di vivere la quotidianità.

In Italia spesso c'è il fraintendimento che l'ikebana sia prettamente un'arte femminile. Nel nostro immaginario c'è la classica scena della geisha che compone ikebana. In realtà, come tutte le arti giapponesi, era di esclusivo appannaggio degli uomini tanto e vero che solo dalla metà del periodo Edo (1600-1868) le donne giapponesi iniziarono ad accedere a quest'arte dopo secoli che era nata.

Gli stessi Iemoto (fondatori di una scuola) son sempre stati degli uomini. E ciò per far meglio comprendere come non ci si accinga, con l'ikebana, a fare delle belle composizioni da mostrare agli amici, ma ad intraprendere un percorso atto a farci osservare meglio la natura e a scrollarci di dosso i problemi della quotidianità.
Inizialmente quest’arte era nota con il nome di kadō (la via dei fiori) termine antecedente ad ikebana che comparirà nel linguaggio corrente prima del XVIII sec. Per questo quando entriamo in un'aula di ikebana dobbiamo spegnere i nostri telefoni e lasciare oltre la soglia i problemi che possiamo avere nella vita quotidiana. Spegnamo tutti i rumori reali e mentali ed iniziamo il nostro cammino lungo la via dei fiori.

Il maestro metterà l’occorrente, per realizzare il nostro ikebana, a portata di mano. Non dobbiamo alzarci perché questo spezzerebbe la nostra concentrazione. Davanti a noi avremo il contenitore nel quale disporre il materiale (suiban è la ciotola bassa e tsubo il contenitore verticale), una ciotola per effettuare il taglio dei fiori in acqua (e quindi prolungarne la durata),il kenzan (il supporto per gli ikebana effettuati nel suiban) e le cesoie. Ogni allievo deve avere il proprio spazio e materiale; non sarebbe male se ognuno possedesse le cesoie (le hasami sono quelle ideate proprio a questo scopo) perché la nostra mano piano piano impari a riconoscerle, ad abituarsi ad esse.

Il tavolo su cui andremo a comporre l’ikebana deve essere pulito costantemente dall'allievo perché la confusione non ci aiuterà nel nostro lavoro e non sarebbe male avere a portata di mano un piccolo asciugamano (quello per gli ospiti è della grandezza giusta) su cui poseremo le cesoie per non far rumore e che ci aiuterà anche a rimuovere eventuali gocce di acqua utilizzata per riempire i vasi.

Iniziamo ad osservare il materiale vegetale che il maestro ci avrà posto innanzi.
Questo è il momento più importante nella realizzazione di un ikebana dato che dovremo osservare ogni singolo dettaglio del fiore, della foglia, del ramo posto alla nostra attenzione. Con le mani seguiremo l'andamento del fusto, percepiremo la ruvidezza o la morbidezza del materiale, ne saggeremo l'elasticità, osserveremo come la corolla si schiude e si porge a noi.
Un ikebanista deve annullare totalmente il personale “questo mi piace, questo non mi piace”. Tale atteggiamento, che gli allievi potrebbero avere alla prima lezione, va subito eliminato dato che questa forma di preconcetto ci porterebbe a lavorare male.

Ogni esternazione della natura ha una sua bellezza, un suo valore. Sta a noi attraverso lo studio, l'osservazione, capire quello che la natura ci suggerisce e comprendere quale linea vada realizzata per mettere in risalto la peculiarità del materiale che stiamo lavorando.
Se un ramo, un fiore, una foglia hanno un andamento che ci piace, ma stona con il resto dell’ikebana lo toglieremo per posizionarlo differentemente.
L'ikebana si realizza man mano che aggiungiamo materiale, lo lavoriamo, lo spostiamo a seconda di come vediamo che interagiscono gli elementi tra di loro. Non è detto che una volta che posizioniamo qualcosa questo debba rimanere fissato per l'eternità se “stona” con il resto degli elementi; dobbiamo arrivare ad avere una composizione che sia equilibrio, armonia ed asimmetria (il simmetrico dà una sensazione di stabile, fermo, l'asimmetria di qualcosa di vivo, in movimento).
Dopo aver lavorato il materiale vegetale al 50% circa ed aver deciso lo stile da eseguire (o il maestro ci ha spiegato cosa dovremo fare) iniziamo la composizione. Dobbiamo sempre lavorare usando entrambe le mani, stando composti, il nostro corpo deve per primo esprimere armonia mentre andiamo a ricrearla nell’ikebana; niente gesti bruschi, niente posture fisiche scoordinate, le nostre mani, il materiale vegetale e la nostra mente sono un'unico fluire costante. La pratica ci permetterà la padronanza delle tecniche e dei movimenti (“From formality comes fredoom” era il motto di Sofu Teshigahara fondatore della scuola Sogetsu ); chi si accinge allo studio di un'arte sa che il costante allenamento è alla base di una buona resa.

Riservare qualche ora a questa pratica nell'arco della giornata potrebbe far sì che ci si scrolli da dosso le tensioni accumulate.
Man mano che tagliamo il materiale non andremo a gettarlo a terra, in quanto per l’ikebana è importante sia quello usato quanto quello eliminato. Prima di tutto potremmo ricorrere ad esso per completare il nostro lavoro, oppure anche per creare altri ikebana. Inoltre è proprio una questione di rispetto per la natura che si è offerta a noi.
Una volta che avremo terminato il nostro lavoro lo sottoporremo all'attenzione del maestro e con umiltà accetteremo le sue correzioni. In ikebana non c'è posto per l'egocentrismo. Se il maestro ci da un tipo di materiale, un contenitore che non ci aggrada, dobbiamo sempre ricordare che siamo lì per imparare e che il maestro non fa nulla per caso. Seguendo fedelmente il percorso che il maestro traccia ci accorgeremo che con calma e bellezza la natura si disvela a noi e che quelle regole che all'inizio ci spaventavano o ci obbligavano entro precisi confini sono divenuti per norma e li andremo ad applicare senza pensarci. Anche perché l'ikebana si fa più con il cuore che con la mente.
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