Lo Stile - Dettagli di bellezza

Nell'interpretazione occidentale il termine "stile" implica il concetto di conformità a una tendenza specifica.

Le caratteristiche stilistiche sono determinate dall’assieme dei tratti formali che caratterizzano un gruppo di opere, costituito su basi tipologiche o storiche. Criteri che non hanno alcun riferimento a quello che i giapponesi intendono con la parola "stile". Un altro equivoco è quello di associare l'aggettivo "giapponese" ai concetti di linearità, purismo e minimalismo.

E’ pur vero che l'arte giapponese non conosce lo sfarzo, è semplice, ma sempre in termini occidentali perché ciò che definiamo "semplice", per la sensibilità giapponese potrebbe essere prezioso e sofisticato. Inoltre il termine minimalismo dovrebbe essere sostituito con “chiarezza”. L’architettura e i manufatti artistici giapponesi hanno sempre contorni ben definiti e sono funzionali, ma proprio l'irregolarità e la casualità sono due delle caratteristiche più evidenti dell'arte di questo paese.
La peculiarità dell'estetica giapponese si può riassumere in due punti: l'uso oculato dello spazio e l'asimmetria. Un punto fondamentale è l'asimmetria. La simmetria ha in sé qualcosa di statico, mentre l'asimmetria comunica un senso di dinamismo e mobilità. Il buddhismo zen ha profondamente influenzato l'estetica della dinamica in Giappone. Il nucleo del pensiero Zen è il concetto di “vuoto”, di immateriale. Secondo questa filosofia le cose non hanno materia, tutto fluisce. Le cose sono soltanto l'insieme dei diversi elementi che, dopo un certo tempo, si disgiungono per creare nuovi insiemi.

 

Le conseguenze del pensiero Zen nell'ambito della creatività sono il vuoto nell'area centrale e l’asimmetria, che suggerisce l'idea di movimento nella partizione dello spazio di stanze, giardini, composizioni di fiori e disposizione delle vivande. Perfino i numeri pari destano diffidenza e si cerca di evitarli. L’ordine, secondo il grande poeta e filosofo francese Paul Valéry (1871‐1945), è una grande e innaturale impresa. Questo concetto base di un pensatore europeo è evidente dalla disposizione giapponese dello spazio: negli edifici urbani, nei giardini, in architettura e nelle diverse espressioni artistiche come pittura, calligrafia e ceramica. 

I manufatti artistici occidentali particolarmente preziosi si distinguono generalmente anche per il valore del materiale: negli oggetti, per esempio, si tratta di argento, oro, legni pregiati, porcellana e pietre preziose, nelle arti figurative di colori a olio o bronzo, mentre in architettura di materiali nobili come il marmo o l'intonaco decorato. Nell’arte shintoista giapponese il valore del materiale risiede invece nell'essenza non alterata, ma conservata nel suo stato naturale. Sono considerati pregiati la pietra ruvida, la nervatura del legno con tutte le sue tracce di vita, la paglia e il bambù, la lacca opaca. Mentre in Occidente l’impegno è rivolto al restauro delle opere d'arte antiche, in Giappone è molto apprezzato il concetto di beauty born by use.
Si attribuisce un grande valore proprio alle tracce visibili lasciate dall'uso, che creano motivi propri, inconfondibili e uno stile proprio, mentre l'età di un'opera non conta nulla. La domanda "è d'epoca?", cioè originale di un determinato periodo, tanto spesso ricorrente in Occidente quando si calcola il valore di un oggetto d'arte, in Giappone è del tutto irrilevante. Le arti giapponesi hanno le medesime finalità della meditazione nel buddhismo zen, che pretende di assumere una determinata posizione del corpo.
Imparare a sedersi in questa posizione educa anche lo spirito, perché esso segue il corpo. La meta da raggiungere è l'unità di corpo e spirito, di soggetto e oggetto. 

Da questa ricerca di armonia deriva anche la profonda dedizione alle stagioni, ai fiori di ciliegio, ai mutamenti cromatici delle foglie e la temporalità delle feste che celebrano invariabilmente l’impermanenza.
Lo spirito Zen è racchiuso anche negli oggetti esili, silenziosi che arredano stanze serene, per riconquistare la calma dopo una giornata passata fuori. L’arredamento post‐moderno rivaluta e valorizza lo stile Zen, reinterpretando il passato con un nuovo rigore formale. 

 

Tutta la semplicità e la raffinatezza racchiusi in questi oggetti. E non è un fatto di mode passeggere.
La forma del cerchio rappresenta, come ha osservato Suzuki, “l’infinito che è il fondamento di tutti gli esseri” (Suzuki, Il maestro zen Sengai, pag.42), ma non solamente questo. Tale forma delimita due spazi: quello esterno, virtualmente infinito, e quello interno, effettivamente finito. Il primo rinvia all’origine unitaria e indeterminata che consente la determinazione dei molteplici esseri. Il secondo
rinvia all’ambito finito in cui si determinano i singoli esseri particolari. Riferendoci al buddhismo, si può dire che il primo rinvia al nirvāna, ossia alla condizione in cui si è dissolta ogni determinazione, separazione ed opposizione, mentre il secondo rinvia al samsāra, ossia alla condizione in cui si danno determinazioni, separazioni ed opposizioni. La forma del cerchio mostra anche che in definitiva spazio
esterno e interno sono un unico spazio o che, il vuoto esterno ha le stesse qualità di quello interno: in questo senso la circonferenza del cerchio li distingue ma non li separa. Il modo stesso on cui la forma circolare viene tracciata con il pennello evidenzia la continuità dello spazio, rifiutando intenzionalmente di tracciare una circonferenza perfetta. La circonferenza non è mai del tutto chiusa e, quando lo è, la sua forma non è mai perfetta.
Il Vuoto. Il Vuoto è il concetto prediletto dal taoismo. Ovviamente non c’è nulla di più difficile da precisare del Vuoto. Il suo significato non è univoco anzi, affrontato ai differenti punti di vista, si apre a diverse accezioni.
La potenzialità del Vuoto è definita in modo superbo dalla frase di Borges: “Non essere è più che qualcosa e, in certo modo, essere tutto”. Con questa accezione ormai puramente concettuale, il Vuoto diventa il protagonista di spazi concepiti come simboli della globalità.
Il Vuoto della casa tradizionale giapponese è la manifestazione, allo stesso tempo accessibile e sofisticata, di un substrato culturale. Profonda conoscenza della natura, senso del cambiamento e della mutabilità, austerità zen e funzionalità ritualizzata confluiscono per dare come risultato un tipo di spazio nel quale il Vuoto si fa accogliente e riposante, utile e flessibile.
Nello spazio vuoto dell’interno giapponese non è possibile l’oblio. I suoi materiali naturali ed il suo ordine denotano attesa, vigilia.
In questo Vuoto sottile e puro, la provvidenza è latente.
Arata Isozaki (1931) noto architetto giapponese della prefettura di Oita, scrive che “In giapponese la parola ma è un concetto che incorpora lo spazio ed il tempo, in termini strettamente spaziali; è la distanza naturale tra due o più cose che si trovano in continuità, o lo spazio delimitato da pilastri e paraventi (la stanza) o, in termini temporali, la pausa naturale o intervallo tra due o più fenomeni che si succedono in continuità (questa definizione è presa dall’Iwanani Dictionary of Ancient Terms).
Il Giappone antico non conosceva il sistema seriale occidentale di tempo e spazio. Entrambi, tempo e spazio, erano concepiti come intervalli, e ciò si riflette nel Giappone attuale nei concetti di base dell’ambiente e della progettazione del giardino, nelle arti della vita quotidiana, in architettura, nelle belle arti, nella musica e nel teatro.

Tutte queste discipline possono essere chiamate arti del ma” (Arata Isozaki, “Ma: Japanese Space”, in The Japan Architect, pag. 70).
Lo spazio concepito come ma ha un aspetto sintattico: è uno spazio referenziale. “In Giappone, tutte le cose dipendono dal ma, dallo spazio. L’arte del combattimento, l’architettura, la musica o l’arte stessa di vivere, l’estetica, il senso delle proporzioni, la disposizione delle piante in un giardino dipendono da un insieme di significati collegati tra loro e risultanti dal ma. (...).
Dietro ogni cosa esiste il ma, lo spazio indefinibile che è come l’accordo musicale di ogni cosa, l’intervallo giusto e la sua migliore risonanza”. (Michael Random, “Giappone: la strategia dell’invisibile”, Genova, ECIG, 1988, pagg. 173‐175). Il Vuoto, quindi, è un valore fondamentale per la comprensione dello spazio. “Lo spazio giapponese è sempre legato a questa sublimazione del vuoto. Per vivere, infatti, in uno spazio con la massima libertà possibile, occorre innanzitutto creare il vuoto; in seguito il vuoto sarà in qualche maniera occupato, ma la vibrazione del vuoto e la sua presenza devono restare sensibili” (Michael Random, op. cit. pag. 176).
La cultura giapponese, ed in particolare la sua tradizione scintoista, offre una delle concezioni più ricche del Vuoto. La sua qualità consiste nel modulare una cornice speciale per i fenomeni spirituali, risaltando con il sapiente uso del Vuoto una particolare forma di trascendenza.
Il Vuoto, come attributo del Tao, non è da confondere con il Nulla “cioè il vuoto è ciò che non riusciamo a nominare, definire o concepire. Le costruzioni logiche ed intellettuali non possonoriempirlo” (Félix Ruiz de la Puerta, “La concepcióne del mundo en el Taoísmo, pag. 220).
Nello Zen, il vuoto non è considerato un concetto comprensibile attraverso il processo analitico del ragionamento, ma un’affermazione dell’intuizione e della percezione. La relazione tra forma e spazio deve essere presentata in modo tale che lo spirito osservatore non si soffermi su uno solo degli aspetti, ma legga le loro reciproche necessità, la loro muta relazione.
La forma prende posto nello spazio vuoto in modo che percepiamo il vuoto come forma e la forma come vuoto” (Raymond Thomas, op. cit. pag. 124).
Per quel che riguarda il bonsai, come ben sappiamo, uno degli elementi più importanti che costituiscono l’armonia della pianta à appunto il concetto del Vuoto, ovvero la presenza di spazi vuoti. Nel bonsai, talune proporzioni che sono inerenti all’albero costituiscono il metro regolare da cui il reale si allontana per gradazioni impercettibili. Ma questo argomento va affrontato meglio e in maniera più profonda.
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