L'essenza della ceramica Giapponese
Negli ultimi anni il numero di amatori della ceramica raku è cresciuto in tutto il mondo, ma non tutti conoscono la storia di questa particolare tecnica di cottura e di manipolazione della ceramica introdotta verso il 1600 in Giappone e giunta fino ad oggi.
Pochissimi sanno che Raku è il cognome della famiglia che da oltre 400 anni tramanda ininterrottamente la tradizione di questa arte e ancora più ridotto è il numero di persone che ha avuto occasione di vedere personalmente questi capolavori.
La ceramica e le sue tecniche si perde nella notte dei tempi; trascurando i Paesi di ampie e più antiche tradizioni, fra i popoli asiatici sono i cinesi che hanno portato la ceramica più in alto. in Cina si trovano già sotto la dinastia Shang (1766-1123 a.C.) ceramiche lavorate a mano presentanti forme che richiamano quelle dell’arte dei panieri e dei recipienti naturali. Sotto la dinastia Chou (1122-294 a.C.) il tornio comincia a far concorrenza alla lavorazione a mano. Sotto la dinastia Han la ceramica si sviluppa riccamente e diventa molto variata.
D’altronde, appena ci si allontana dal centro cinese, la ceramica diventa più primitiva nei suoi procedimenti e nei suoi prodotti. Il Giappone è da ricollegarsi alla Cina per la bontà dei suoi prodotti. La quasi totalità dei vasi usati per ospitare i bonsai (suiban) ebbero origine in Cina ed in Giappone, alcuni in Corea, Formosa e nell’Asia del Sud; altri ancora vennero poi costruiti in Olanda e nel Portogallo e poi esportati in Giappone.I cinesi iniziarono a fare vasi di porcellana durante la dinastia Sung (420-479), la dinastia Yuan (1260-1368) e la dinastia Ming (1369-1644); queste porcellane erano dei manufatti artistici straordinari ed erano gelosamente custoditi come pezzi antichi, per cui i vasi non potevano essere utilizzati per le piante.
Durante l’era di Yamato (538) il Buddismo si diffuse dalla Cina in Giappone e con esso te antiche terraglie; in seguito molti sacerdoti e pellegrini che si trovarono a visitare la Cina, cominciarono ad esportare e diffondere in Giappone l’arte della lavorazione di questa ceramica.
Durante il periodo Kamakura (1192-1319) molti buddisti fondarono diverse sette; tra i loro lavori ci hanno lasciato un rotolo di pergamena che mostra un gruppo di piante composto da alberi ed erba in un vaso basso: questo è considerato l’inizio del periodo Muromachi (1333-1573) il bonsai inizia a cambiare poiché vengono eliminate le rocce e rimane soltanto la pianta spesso sistemata in cassette di legno poiché i vasi di ceramica sono ancora scarsi poiché sono importati dalla Cina.
Soltanto l’incremento della produzione nazionale di tali vasi sia di ceramica che di porcellana nel periodo Edo (1603-1868) favorisce la più ampia diffusione del bonsai.
La creazione della ceramica Raku è stata introdotta da Chojiro durante il periodo Momoyama (1573-1615) ed egli rappresenta la prima generazione di questa famiglia. Allora la ceramica smaltata a vetro tricromata (san cai) basata sulle tecniche provenienti dalla regione cinese del Fujian era prodotta a Kyoto; un documento scritto ci dà notizia che il padre di Chojiro, Ameya, di origine cinese fosse colui il quale introdotto le tecniche della ceramica smaltata della Cina, sebbene non fosse rimasta nessuna delle sue opere a testimoniarlo.
Questi oggetti giapponesi san cai non erano però chiamati Raku e fu solo dopo che Chojiro conobbe il maestro del tè Sen no Riku (1522-1591) ed iniziò a creare delle tazze per il chanoyu (la cerimonia del tè), che gli oggetti Raku ebbero sviluppo. Si può dire che la creazione di un’unica tazza per la cerimonia del tè segna l’origine della ceramica Raku. Le tazze da tè create da Chojiro erano inizialmente chiamate ima-yaki (“oggetti di adesso”), che significa oggetti prodotti nel tempo presente. In seguito furono chiamati juraku-yaki, (cotto juraku) probabilmente dal Governatore del tempo, Toyotomi Hideyoshi (1537-1598).
Il termine Raku deriva da Jurakudai, il nome di un palazzo, uno dei grandi simboli di quel tempo, costruito da Hideyoshi; in seguito Raku divenne il nome della famiglia che produceva questi oggetti e questo è l’unico caso di un nome di famiglia diventato sinonimo di una produzione di ceramica attraverso la storia.
Tra l’altro, ci sono poche famiglie dedite alla produzione di ceramiche che si sono succedute ininterrottamente come la famiglia Raku.
Il termine Raku deriva da Jurakudai, il nome di un palazzo, uno dei grandi simboli di quel tempo, costruito da Hideyoshi; in seguito Raku divenne il nome della famiglia che produceva questi oggetti e questo è l’unico caso di un nome di famiglia diventato sinonimo di una produzione di ceramica attraverso la storia.
Tra l’altro, ci sono poche famiglie dedite alla produzione di ceramiche che si sono succedute ininterrottamente come la famiglia Raku.
L’utilizzo esclusivo delle smaltature monocrome crea un’estetica unica che mira all’eliminazione del movimento, della decorazione e della variazione della forma. In questo la ceramica Raku riflette, rispetto agli altri tipi di ceramica, gli ideali di wabicha, la forma della cerimonia del tè basata sull’estetica wabi, sostenuta da Sen no Rikyu. Il punto focale della filosofia di wabicha erano le nozioni di “nothingness” (non essere) derivato dal Buddhismo e il “isness” (essere) del Taoismo. La ceramica Raku è modellata a mano invece che al tornio, e questo particolare la rende molto diversa dagli altri tipi di ceramica giapponese. La lavorazione manuale aumenta la possibilità del modellato e permette allo spirito dell’artista di esprimersi attraverso le opere compiute con particolare chiarezza ed intimità. Chojiro, attraverso la sua negazione del movimento, della decorazione e della variazione della forma, andò oltre i confini dell’espressione individualistica ed elevò la tazza per il tè ad una manifestazione di spiritualità astratta.
Da 400 anni e per 15 generazioni la famiglia Raku ha mantenuto una tradizione unica della ceramica, 400 anni di ritualità nei quali la produzione limitata delle tazze per il tè ha rappresentato il punto focale di una continua ricerca nel campo della tradizione. Questi artisti sono razionalmente consapevoli nel produrre queste opere (tazze, vasi per i fiori hanaire, recipienti per l’acqua fredda mizusashi, contenitori d’incenso kôgô, etc.) e tale consapevolezza che non appartiene alle generazioni passate, cresce in modo evidente nel loro approccio creativo.
L’essenza del che-no-yu dunque è quella di offrire una tazza di tè e gustarla; alcuni maestri di questa cerimonia ampliarono questo atto, semplicissimo nella sua essenza, ad un campo molto vasto che spazia dall’architettura, all’arte dei giardini, alla calligrafia, alla pittura, cercando attraverso queste arti di approfondire il valore intrinseco della vita, il senso religioso e la filosofia.
Ed il bonsai rientra certamente in questa ricerca.
L’essenza del che-no-yu dunque è quella di offrire una tazza di tè e gustarla; alcuni maestri di questa cerimonia ampliarono questo atto, semplicissimo nella sua essenza, ad un campo molto vasto che spazia dall’architettura, all’arte dei giardini, alla calligrafia, alla pittura, cercando attraverso queste arti di approfondire il valore intrinseco della vita, il senso religioso e la filosofia.
Ed il bonsai rientra certamente in questa ricerca.