Lo Spirito del Bonsai

La forma del bonsai torna all’osservatore come soggetto efficace, capace cioè di trasformare chi la contempla.

C’è una reciprocità drammatizzata, una tensione in atto che è il risultato della forma stessa del bonsai. E’ un evento che ha leggi solo sue. Esclusive.

Se il bonsai dal punto di vista estetico non è concettualizzabile, ciò è dovuto al fatto che è affascinante in sé. La tessitura della ramificazione, la trama della corteccia, le venature della pianta non sono classificabili, ma è proprio per via dell’attrazione e del fascino che esercitano con quel dato colore e quelle sfumature particolari e irripetibili, che il bonsai è più che sé stesso nel suo grado di bellezza visibile, perché porta la presenza di una perfezione invisibile, impalpabile.

C’è una stretta associazione fra compimento e limite: la forma, quando si realizza un bonsai, è l'imitazione perché l’idea globale in essa non sarà mai completa. Dagli esemplari dei grandi maestri possiamo evincere come, a distanza di tanti anni, molti di questi sono stati ristrutturati e stravolti esteticamente.

Se si osserva profondamente un bonsai è come se ogni forma contemplata ci facesse dimenticare la precedente, ma tutte nella loro successione confermano la presenza costante della bellezza di ogni pianta. E’ come guardare con una lente di ingrandimento che mentre ingrandisce un particolare, oscura gli altri, ma passando sopra tutti ci conferma che ognuno è in grado di possedere i caratteri della bellezza. La “summa” dei particolari forma la bellezza totale della pianta.

Il bonsai inteso come opera si evolve da sé e nemmeno il bonsaista conosce la sua conclusione. Il bonsaista decide passo passo gli interventi sulla pianta, come compierli e perciò si richiede un potere percettivo di ricezione della pianta, e non qualità soggettive o oggettive di analisi. Il bonsaista deve possedere una potenzialità percettivo‐estetica che coincida totalmente con la ricezione immediata del bonsai.

Un’accurata analisi estetica delle forme del bonsai riconfigura tutta la tradizione orientale del pensiero estetico senza imprimervi una propria direzione, ma lasciando che si realizzino concetti di stili diversi e coesistenti. E’ questa la questione degli stili che sta subendo un processo evolutivo e che trova nel bonsaismo italiano particolare sensibilità ed attenzione. Stiamo parlando del bonsai d’avanguardia. Un bonsai viene selezionato dal tempo, sottoposto alla capacità di giudizio e custodito come valore storico di memoria artistica.

E’ IL TEMPO CHE RACCHIUDE LO SPIRITO DI UN BONSAI .

Partendo dall’analisi dell’osservazione e della contemplazione di un bonsai attraverso la percezione della sua forma.

Si evince che se non si dà contemplazione senza percezione è anche vero che la percezione è naturalmente modellata sulla contemplazione della pianta. Non si percepisce dunque se non per attrazione dell’attenzione, per passione, per potere apprendere la struttura della forma.
L’estetica quindi può ristabilire con un maggiore realismo che cosa accade quando percepiamo.
Una volta stabilito l’elemento trascendente nella percezione del bonsai, una considerazione ontologica della bellezza diventa possibile con gli elementi che costituiscono i punti focali o di “interesse”. Questa proceduralità è il nocciolo dell’estetica del bonsai e il suo disordine essenziale ne fa un puro prodotto dell’arte.
Il bonsai è diventato un oggetto di culto.
E’ identificato e classificato in quella nicchia che raccoglie ogni cosa sia definibile con il termine cult. Un totem su cui si proiettano immagini che intrecciano passato e futuro. Un oggetto di culto diventa quanto più importante quanti più sono i suoi seguaci e quanto più sono fedeli.
Il bonsai ha dato vita ad uno di quei fenomeni definiti “comunità immaginate” in cui i membri spesso non si conoscono, non si frequentano per forza, ma sentono di appartenere, in questo caso, ad una comunità di pratiche ma anche ad una filosofia comune. Un credo anche un po’ snob, che gode nell’essere minoranza e se ne privilegia. Come ogni vera fede ha bisogno di seguaci convinti, costanti e praticanti. Un totem sì, un totem se lo vogliamo intendere nell’accezione del termine.
Un vero, grande bonsaista (e in Italia, buon per tutti, qualcuno c’è!) deve essere un protagonista indiscusso del panorama bonsaistico. Dico “vero” perché oggi il termine ha subito un grave processo di inquinamento, una deriva inquietante e licenziosa.
Se autori dei capolavori bonsai sono i grandi artisti, non si capisce come e perché sia invalsa l’abitudine a considerare come espressione dell’arte bonsai qualsiasi pianta venga impostata con una certa verve e con compiaciuta maestria.
E’ vero che qua e là si incontrano spesso ottimi bonsaisti e validi dimostratori che forse meriterebbero altri destini. Ma l’arte è un’altra cosa, è qualcosa che esprime una sensibilità più raffinata, un’intuizione che va oltre il confine della realtà e che sopravviverà come un valore spirituale eterno; vuol dire riempire di contenuto un vuoto, dare un senso al senso di vuoto. In altre parole è la visione di un bonsai nel quale convivono contaminazioni culturali e spiritualità universali.
Queste contaminazioni possono provenire dall’anima autentica di una terra mitica come per esempio la Sicilia ... o come qualunque altro posto del mondo. Per sentieri di montagna, campagne assolate e fresche battigie, il bonsaista si incammina inconsapevolmente alla ricerca delle proprie radici.
Quando affermo che ad ispirare il bonsai ad un siciliano non è la Sicilia, ma la sua natura di uomo, e che il resto semmai è solo l’effetto di una causa, dico una cosa vera. Un siciliano o un abitante di qualsiasi altra terra può fuggire lontano dalla propria terra d’origine ma, ovunque si trovi, non riuscirà mai abbastanza a fuggire da sé stesso e dal proprio modo di fare bonsai.

Desidero ora inserire un concetto:
l’austerità, che nel caso del bonsai ha una doppia connotazione che coinvolge sia l’estetica che il bonsaista. L’austerità, nel bonsaista, riguarda l’individuo che vive
concretamente la propria esistenza quotidiana nonché la sua condotta etica.
Il bonsaista si caratterizza per questo profondo incrocio fra la sfera etica e quella estetica: non insegna l’ethos né attraverso imperativi morali astratti o formali, né allenando la facoltà di giudizio e di analisi della Natura mediante l’esercizio artistico che si direziona verso l’armonia con la natura stessa o addirittura nella sua idea più alta che coinvolge i maestri orientali, finisce per esserne assorbito. Per quanto riguarda l’estetica, il rigore significa essenzialità, semplicità.

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