Quanto grande?

Vorrei fare una premessa, prima di iniziare questo viaggio attorno e dentro al mondo delle pietre:

vorrei che recepiste i miei scritti come frutto di notizie e concetti acquisiti da persone esperte più di me, filtrati e miscelati con: convincimenti, esperienze e sensazioni personali.

Non amo mettere ogni pensiero al condizionale. Io racconto la mia verità. Voi fatela vostra se vi aggrada. Non voletemene quando non vi troverete in sintonia. Vi racconterò come io vivo ed interpreto il suiseki e quanto l’arte della pietra faccia parte di me.

Luciana Queirolo

Un argomento tira l’altro, come per connessione di feeling, come le cose che piacciono...come le ciliegie, appunto. Andrea Z, dall’Alto Adige, con il suo post: “O.T. Stelle e Montagne dall’Alto” ci ha rimandato ad una splendida raccolta di panoramiche delle Dolomiti: ”il bello però è che le immagini sono state fatte TUTTE DI NOTTE e l’effetto, a mio vedere, è spettacolare”.

Magiche montagne in magiche notti.... già il titolo del post mi aveva ricordato il nome poetico di una mia pietra ”Dove puoi contare le stelle”: una pietra paesaggio di ampie vallate e picchi imponenti, dove immagini notti non inquinate da luci artificiali; un nome che, a dire il vero, va oltre le foto di quel sito, dove gli insediamenti umani ardono come fuochi, in antagonismo con gli astri.

Una pietra che non può essere certamente definita piccola o media: di un peso che solo la caparbietà mi induce a spostare.

Un ottimo pretesto per riprendere un altro post, ingiustamente trascurato, di Sergio Bassi: Pietre grandi, del 12 settembre. “Io sono pieno di dubbi e curiosità da sciogliere, farei domande in continuazione sul suiseki: é vero che la grandezza (o pesantezza) di un suiseki deve essere al massimo quella che può portare un uomo ‘normale’?” Sergio esortava giustamente tutti a tener vivo il dialogo: a questo serve un forum.

I suiseki, a seconda della dimensione, vengono divisi in quattro gruppi:

Mame suiseki: è una pietra che misura fino a 15 cm circa di lunghezza;
Kogata suiseki: viene considerato ancora abbastanza piccolo ed ha una lunghezza che va dai 15 ai 30 cm;
Hyojun suiseki: è una pietra ritenuta di misura media e va dai 30 ai 60 cm;
Ogata suiseki: vanno oltre tali misure.

Per cercare di capire quale di questi gruppi potrebbe corrispondere alla pietra ideale, per un giapponese e non solo.... dovremmo ragionare su diversi concetti ed anche soprattutto per quali utilizzi, io credo.
Il metodo tradizionale di giudizio ed apprezzamento di un suiseki consiste nel sedersi davanti a lui e osservarlo fissamente.
Se la pietra permette di essere focalizzata totalmente in un unico sguardo, senza doverlo spostare dal punto focale, allora è della misura ideale per una esposizione. Logicamente, se mi allontano maggiormente da una pietra più grande, posso vedere l’insieme totale, ma non riuscirei ad apprezzare texture, toni etc. Questo “colpo d’occhio” fornisce la valenza della pietra. Se la sensazione che ne riceviamo è di fastidio (o perché innaturale, o squilibrata, o respingente) la pietra non è buona. Altre indagini conoscitive potranno poi comprovare la prima impressione, ma non è di questo che stiamo disquisendo. Teniamo comunque presente che in una buona pietra devono coesistere, assieme alla forma e ad una certa valenza su ogni lato, una buona armonia tra dimensioni e massa visiva: Una pietra pesante dovrebbe rispecchiare la sua pesantezza nella potenza; una forma sottile ed allungata sarà ovviamente più leggera ed elegante.

Pietra come oggetto per la meditazione. Con forma che noi occidentali, superficialmente, potremmo definire addirittura amorfa, poco significativa... Una linea semplice e morbida, una superficie patinata dal tempo (Jidai) e dalla manipolazione (Yoseki). Una pietra che si tiene con piacere tra le mani: prima fredda, assorbe il calore e lo rimanda, quasi rafforzato da una vitalità interna.

Una pietra su cui meditare, sarà non più lunga di 30 cm. (Kogata o Mame Suiseki).
“La meditazione è una capacità della mente che favorisce un percorso interiore e che ne è influenzata.... attraverso la dinamica del modo di operare della mente, si può riuscire a riconoscere la distinzione tra un io egocentrico, che si identifica con l’essere io (nome) e l’Io (sé) in grado di osservare l’osservatore (oggettivizzare il soggetto, “ vedi: wikipedia”).

Sedersi di fronte ad una pietra per osservarla, anche se da una distanza limitata, richiede una dimensione non inferiore ai 15 cm; inoltre, se gli spazi vuoti di una esposizione sono importanti quanto i pieni, un vuoto eccessivo davanti a noi può creare pace ma anche malinconia o malessere (“senso di vuoto” nel detto comune). Un piccolo puntino nell’universo....un punto di vista senz’altro filosofico, ma apprezzarne la forma e la texture, richiede che ci si pieghi, osservando a “sguardo di gallina” ( = capo proteso su un lato, focalizzando con un occhio solo), oppure rigirando il mame tra le mani come un gioiello. E’ preferibile perciò riunire più pietre, piccoli shohin, oggetti, utilizzando un multi-stand e seguendo un tema: lo svolgimento di una storia. 

Kamuikotan-ishi - 33cm proprietario D. Sampson

 

Pietre grandi... infine.

Non adatte per esposizioni nel tokonoma, vengono considerate pietre da giardino o come arredamento da interni in struttura moderne.
L’origine dell’uso delle pietre nel giardino è da ricercare nella tradizione cinese.
Nel saggio: ”il Simbolismo delle Rocce Cinesi”, Richard Rosenblum (scultore, collezionista di Gongshi, deceduto) fa risalire l’uso delle pietre all’origine dell’uomo. La morfologia geologica fa pensare che l’uomo preistorico in Cina vivesse entro caverne calcaree. Le grotte carsiche, dalle caratteristiche tortuose e gallerie senza fine, sono molto comuni in Cina. In questo “Mondo sotterraneo” non mancavano fiumi, laghi, sfiatatoi, pesci. Quando gli uomini si spinsero all’aperto, poterono facilmente vedere e camminare attorno a queste piccole montagne, contenenti quel mondo che prima era stato il “loro” mondo: “Mondi all’interno di Mondi”: (‘worlds within worlds’).

Una pietra di 24 kg, nel giardino del M° Kobayashi

 

“Tutto questo si collega ad uno dei fatti più strani che riguardano la cultura cinese: è pensiero comune che essi siano stati l’unico popolo che abbia iniziato la propria storia senza un mito circa la creazione; tali miti furono sviluppati molto più tardi. Possiamo ipotizzare che, poiché i cinesi ebbero familiarità con un mondo che è più grande ‘dentro’ di quanto sia ‘fuori’, e che non ha fine, essi non si preoccuparono di spiegarsi l’inizio del mondo.”

Un altro collegamento lega l’arte cinese e le caverne: il giardino.
E’ risaputo che nei giardini cinesi le rocce, gli edifici e l’acqua, prevalgano sulla vegetazione. Come nel mondo interiore delle grotte carsiche, i giardini sono costruiti in modo tale che non si possa mai vedere l’intero panorama, solamente scorci parziali.
”L’impareggiabile significato delle rocce dello studioso, nell’arte cinese, deriva in gran parte dal fatto che essa è la rappresentazione della montagna, della grotta, e del giardino. Si porta il peso di questa singolare estetica e simbolismo spirituale.”

“La pietra non è più una materialista rappresentazione di una montagna, ma un simbolo, una immagine ideale”... “Nell’esperienza cinese, le montagne e le pietre sono la tangibile espressione dell’ordine naturale”...
..”Pietre, una microcosmica immagine di montagne”.. “Le formazioni sono meravigliose e fantastiche, meraviglie della natura nascoste in strani luoghi.”.( Estratte da varie fonti, secondo il principio Daoista del pu, per la comprensione della pietra gongshi).

L’uso delle pietre nel giardino giapponese rappresenta una elaborazione dal concetto del giardino cinese, simboleggiando la vastità della natura anche in piccoli spazi, sino al raggiungimento dell’essenza e linearità spirituale del giardino Zen (karesansui): composizioni essenziali di solo rocce e ghiaia evocanti fiumi e montagne; ed alberi, presenti solamente nella nostra fantasia.
Stesso spirito ritroviamo nel bonseki: giardini zen in miniatura creati con sabbia, ciottoli e pietre su vassoi neri laccati. Pare che queste composizioni siano state largamente usate per progettare i maggiori giardini di Kyoto.
Nel karesansui o nel bonseki; in queste rappresentazioni semplici, pulite, austere, serene eppur vagamente tristi, delicatamente rispettose, troviamo la più alta espressione e ricchezza spirituale di uno spazio sconfinato ed elegante... ma di questo lascio scrivere a chi sa più di me.

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