Il tempo ed il bonsaista
Al contrario del concetto di tempo occidentale e moderno che ha una scansione lineare, in Giappone sopravvivono le vestigia di vita contadina.
Per i giapponesi il tempo non è circolare, ma esiste una certa reiterazione o somiglianza di forme. L’assenza di una dimensione temporale si avverte nella stessa lingua giapponese, cosicchè ogni cosa è potenzialmente e contemporaneamente passata, presente o futura.
Ci troviamo all’opposto del concetto di tempo lineare, che distingue le cose che sono avvenute da quelle che stanno avvenendo, possono o dovranno avvenire.
Una scarsa linearità caratterizza il pensiero filosofico. Anche la storia appare priva di una destinazione poiché non vi è nessuna vita futura, non esiste un secondo Avvento né una fine dell’universo. Siamo nella perfetta società esistenziale dove l’uomo esiste e l’unica cosa che conta è l’istante.
Il presente svanisce costantemente, il momento della fioritura dei ciliegi, della luna piena o delle onde che si infrangono è sempre effimero: è il sogno di un istante che svanisce in tutta fretta. La periodicità dei riti, dei cambi d’abito e dei cibi, che oggi risalta così tanto nella televisione giapponese con i suoi motivi stagionali, ricorda ai giapponesi la ciclicità del mondo, con la primavera, l’estate, l’autunno e l’inverno. Ritmi delle stagioni che cambiano bruscamente trovano un riflessi anche nella più affollata metropoli giapponese: cogliere e sentire questi cambiamenti è molto importante per la maggior parte dei giapponesi. Il tempo varia nella qualità piuttosto che nella quantità. Può essere accelerato, rallentato o addirittura cancellato, come avviene nella cerimonia del tè, che impone agli ospiti di togliersi gli orologi prima di entrare in uno spazio atemporale.
Il tempo è vivo, non morto. I giapponesi lo dominano, anziché essere dominati. Al contrario degli occidentali nei quali si instaura una lotta contro il tempo e ogni ostacolo genera dolore e affanno. I superjet, i computers, i forni a microonde, le tecniche per leggere velocemente, il cibo già pronto sono tutti prodotti della preoccupazione moderna di guadagnare tempo e velocità.
L’elasticità o la relatività del tempo è una delle caratteristiche più straordinarie del tradizionale modo in cui il Giappone si calcolava il tempo.
Come avviene nelle culture tribali, il tempo letteralmente si espandeva e si contraeva. Non c’era nulla di equivalente alla settimana. La durata di un’ora era flessibile e cambiava nel corso dell’anno, in base alla stagione. Le concezioni giapponesi del tempo hanno diversi strati. In superficie possiamo trovare il tempo scandito dall’orologio occidentale (non dimentichiamo che l’introduzione degli orologi in Giappone fu un fatto complicato), ma poi troviamo il tempo delle stagioni, ritmico e magico. Esso è pieno di significati, non è morto, anche se – come avviene per qualsiasi altra cosa nel Sol Levante – non esiste separato dal resto.
Gli alberi, la luna, i venti e le erbe sono tutti orologi che rallentano o accelerano il tempo. I giapponesi non sono schiavi del tempo, lo gustano, lo assaporano, e lo usano. Ne creano per i loro scopi e raramente sembra che ne abbiano troppo (difficoltà ad annoiarsi) o troppo poco (nessuna tendenza all’ansietà). Visto l’uso ridotto del tempo passato nella lingua giapponese e i rigidi concetti di circolarità temporale, il passato fa parte del presente. Il passato è concepito come un unico contenitore in cui tutto esiste simultaneamente e non è visto come un percorso ordinato verso il presente. Vi è una sensazione di atemporalità che, attraverso l’invenzione di nuove tradizioni e una rapida dissimulazione della novità, dà alla gente l’illusione che poi non sia cambiato molto.
Lunga premessa la nostra per potere inserire in questo contesto anche “il tempo del bonsaista”. Egli cura, conserva e promette in un certo senso l’eternità all’albero. Come influisce il rapporto del tempo sul bonsaista e come ciò sia causa-effetto di determinati comportamenti: percezione del tempo, modo di vedere il tempo, interpretazione della vita attraverso i ritmi lenti della Natura? Il bonsaista ha un rapporto quotidiano con la pianta: i gesti semplici, misurati e lenti sono sapientemente dosati nel tempo. La progettazione degli interventi è diluita nel tempo, in un tempo vissuto al futuro, mai al presente. Ilbonsaista ha tempi lunghi, vive al presente ed il passato è soltanto un vago ricordo di com’era la pianta e pertanto non va vissuto. Il bonsai è una lezione costante sul tempo: insegna a programmare ogni cosa, ogni atto attraverso le stagioni, gli anni. Un modo di vivere quotidiano senza angosce e assilli, di quell’incubo del tutto pronto e subito, dell’immediatezza di ogni cosa, dei risultati istantanei.
Il bonsaista vuole gestire la sua pianta e non registrare il tempo: tuttavia la sua struttura di base è un calendario volutamente fondato sulla concezione del tempo quale progressione di eventi ordinati: il riposo vegetativo, il gonfiarsi delle gemme, la ripresa vegetativa, la fioritura, la fruttificazione e quant’altro. Secondo lo Zen il passato ed il futuro sono illusioni effimere e il presente è eternamente reale. La successione lineare del tempo è una convenzione del nostro pensiero verbale. Il vecchio e saggio maestro bonsai che programma lunghissimi interventi nel tempo, senza tenere conto della propria età vive dunque al presente: V’è soltanto questo ora. Non proviene da nessuna parte; non procede verso nessuna parte; non è permanente, ma non è non-permanente; si muove, eppure è sempre fermo; quando cerchiamo di ghermirlo sembra fuggir via; eppure è sempre qui e non si può sfuggirgli. (Alan Watts, La Via dello Zen, Milano, Feltrinelli, 1971).
Lunga premessa la nostra per potere inserire in questo contesto anche “il tempo del bonsaista”. Egli cura, conserva e promette in un certo senso l’eternità all’albero. Come influisce il rapporto del tempo sul bonsaista e come ciò sia causa-effetto di determinati comportamenti: percezione del tempo, modo di vedere il tempo, interpretazione della vita attraverso i ritmi lenti della Natura? Il bonsaista ha un rapporto quotidiano con la pianta: i gesti semplici, misurati e lenti sono sapientemente dosati nel tempo. La progettazione degli interventi è diluita nel tempo, in un tempo vissuto al futuro, mai al presente. Ilbonsaista ha tempi lunghi, vive al presente ed il passato è soltanto un vago ricordo di com’era la pianta e pertanto non va vissuto. Il bonsai è una lezione costante sul tempo: insegna a programmare ogni cosa, ogni atto attraverso le stagioni, gli anni. Un modo di vivere quotidiano senza angosce e assilli, di quell’incubo del tutto pronto e subito, dell’immediatezza di ogni cosa, dei risultati istantanei.
Il bonsaista vuole gestire la sua pianta e non registrare il tempo: tuttavia la sua struttura di base è un calendario volutamente fondato sulla concezione del tempo quale progressione di eventi ordinati: il riposo vegetativo, il gonfiarsi delle gemme, la ripresa vegetativa, la fioritura, la fruttificazione e quant’altro. Secondo lo Zen il passato ed il futuro sono illusioni effimere e il presente è eternamente reale. La successione lineare del tempo è una convenzione del nostro pensiero verbale. Il vecchio e saggio maestro bonsai che programma lunghissimi interventi nel tempo, senza tenere conto della propria età vive dunque al presente: V’è soltanto questo ora. Non proviene da nessuna parte; non procede verso nessuna parte; non è permanente, ma non è non-permanente; si muove, eppure è sempre fermo; quando cerchiamo di ghermirlo sembra fuggir via; eppure è sempre qui e non si può sfuggirgli. (Alan Watts, La Via dello Zen, Milano, Feltrinelli, 1971).