Il Giardino e la cerimonia del tè
Durante il XV secolo, nel Giappone cominciò a diffondersi una vera e propria religione estetica, vale a dire il "culto del tè"
Anticamente le foglie del tè erano adoperate come rimedio in medicina; poi, nel corso del tempo, l'infuso ricavato da esse divenne una bevanda, conosciuta ed apprezzata da tutti, in oriente come in occidente.
La pianta del tè (Camelia sinensis) originaria della Cina meridionale, era conosciuta fin dai tempi più remoti dalla botanica e dalla medicina cinesi. Era molto apprezzata per le sue proprietà; alleviare la fatica, dilettare lo spirito, rafforzare la volontà. Non solo era somministrata per via orale, ma spesso la si applicava esternamente sotto forma di impacchi, per attenuare i dolori reumatici. I taoisti la consideravano un ingrediente fondamentale, un elisir di lunga vita, i buddisti ne facevano grande uso allo scopo di prevenire la sonnolenza durante le lunghe ore di meditazione, sfruttando la teina eccitante in esso contenuta. Tuttora la filosofia del tè mette in luce la concezione giapponese dell'uomo e della natura, in essa si esprimono un insieme di idee morali: il rapporto armonico tra gli esseri umani e l'universo, l'attitudine all'igiene poiché costringe alla pulizia, l'economia perché mostra che il benessere va ricercato nelle cose semplici e non in quelle complesse e costose.
Infatti i falegnami ai quali ricorrono i maestri del tè per la costruzione della sukiya costituiscono una categoria di artigiani particolare e degna del massimo rispetto, come pure i ceramisti che producono le tazze e gli utensili, sopratutto i vari maestri giardinieri vennero impiegati nella realizzazione di giardini che potessero influenzare lo stato d'animo degli invitati. L'origine della semplicità e della purezza della stanza del tè, va ricercata nel tentativo di emulare il monastero Shintoista. Tutta la letteratura e l'arte giapponese in generale,l'architettura delle case e dei monasteri, la scrittura, l'artigianato, ecc., hanno subito l'influenza del tèismo. Ogni classe sociale ne è stata pervasa; anche il più umile contadino ha imparato a disporre i fiori e a rendere omaggio alla terra e all'acqua, prima di sedersi a sorseggiare il proprio tè. Nel linguaggio comune si usa affermare che un essere umano è "senza tè" quando si mostra insensibile al dramma individuale, mentre per l'esteta che si abbandona all'abbondanza delle libere emozioni, si afferma che ha "troppo tè".
La preparazione del tè in Giappone era considerata un'opera d'arte che solo la mano di un maestro poteva renderne manifeste le qualità più nobili, da molti ancora oggi ricercata. Per il tè, come per l'arte, esistono diverse epoche e scuole. La sua evoluzione può essere suddivisa in tre fasi principali: quella del tè bollito, quella del tè sbattuto e quella del tè infuso. L'origine del culto risale in Cina, a un'epoca nella quale buddismo, taoismo e confucianesimo cercavano una sintesi unitaria, attorno all'VIII secolo: fu allora che il tè fu affrancato dalla sua condizione primitiva e portato all'idealizzazione definitiva.
La stanza del tè – denominata sukiya – non vuole essere niente di più che una semplice stanza con pochi elementi decorativi, è una costruzione quasi sempre in legno situata in giardino, progettata per accogliere non più di cinque persone, da un'anticamera nella quale gli utensili sono lavati e preparati prima dell'uso, da un portico dove gli ospiti attendono l'invito a entrare, e infine da un sentiero nel giardino che collega il portico alla sukiya.
Tokonoma (nicchia dove vengono esposti elementi votivi)
Il tokonoma è il posto d'onore all'interno della stanza dove si dispongono oggetti di famiglia ritenuti preziosi come bonsai, ikebana, oppure dove si appende un kakemono, un antico scritto religioso sulla caducità di tutte le cose terrene, o un dipinto antico.
I materiali con cui è stata costruita devono dare l'impressione di una raffinata povertà. Tutto quello che si nota è il risultato di una profonda elaborazione artistica, e i dettagli sono frutto di una precisione ricercata.
Il sentiero che dall'entrata del giardino porta alla sukiya, induce il visitatore al primo stadio della meditazione, vale a dire il passaggio all'auto illuminazione, questo ha la funzione di spezzare i legami con il mondo esterno e di creare una fresca sensazione che predispone al pieno godimento estetico che si raggiungerà poi nel silenzio della stanza del tè.
Chi ha percorso questo sentiero, può ricordare come il proprio spirito si sia innalzato fin oltre i problemi quotidiani, mentre camminava nella penombra dei sempreverdi calpestando le "regolari" irregolarità dei ciottoli sotto i quali giacciono aghi di pino secchi, passando accanto a lanterne di granito ricoperte dal muschio fermandosi poi alla vasca tsukubai per lavarsi le mani e purificarsi la bocca.
Così preparato, l'ospite si avvicina silenziosamente: se è un samurai, lascerà la spada in una rastrelliera sotto la gronda, perché la stanza del tè è sopra ogni altra cosa la dimora della pace. Poi farà un profondo inchino, introducendosi nella stanza attraverso una piccola porta non più alta di un metro e mezzo, questa norma valeva per tutti gli ospiti, importanti o modesti che fossero, e aveva lo scopo di inculcare l'umiltà.
Era buona norma prima di accostarsi alla cerimonia del tè, approdare alla vasca tsukubai per lavarsi le mani e purificarsi la bocca
La sukiya in fondo al ROJI ("sentiero rugiadoso")
Si entra uno per volta senza far rumore, e dopo aver reso omaggio agli oggetti collocati nel tokonoma (nicchia dove vengono esposti elementi votivi), ci si siede in rigoroso silenzio. Il padrone di casa entra solo quando tutti gli ospiti si sono seduti e la quiete regna, niente turba il silenzio all'infuori dell'acqua che bolle nel bricco. Nella stanza la luce è diffusa anche durante il giorno, dal soffitto al pavimento tutto è di colore tenue, gli stessi ospiti hanno accuratamente scelto abiti di colori sobri.
La patina del tempo avvolge ogni cosa, è proibito qualunque oggetto che possa far pensare a un acquisto recente con l'unica eccezione del mestolo di bambù e del tovagliolo di lino, entrambi nuovi e immacolati. In caso contrario il padrone di casa non sarebbe considerato un buon maestro del tè. Nella sukija il timore della ripetizione è una costante, i diversi oggetti per l'arredamento di una stanza dovrebbero esser scelti in modo tale da evitare qualsiasi ripetizione di colori o motivi. Se c'è un fiore vero non sono ammessi fiori dipinti, se il bollitore è rotondo le tazze dovranno essere un poco spigolose. Una tazza di smalto nero non dovrà essere accompagnata a un vassoio per il tè in lacca nera. Quando si dispone nel tokonoma un bonsai, un suiseki, o un ikebana, si deve aver cura di non situarlo esattamente nel centro, perché non divida lo spazio in parti uguali, lasciando così all'ospite il vuoto per una riflessione spirituale. La semplicità della stanza del tè, dalla quale è bandita ogni volgarità, la rende un autentico santuario wabi-sabi, lontano dagli affanni del mondo esterno.
Per quanto grande sia stata l'influenza che i maestri del tè hanno avuto in quest'arte, essa non è nulla se paragonata a quella esercitata sullo stile di vita giapponese. Si avverte la loro presenza anche in tutti i dettagli della vita quotidiana, dal modo di servire il cibo, alla precisione della scrittura, al gusto di indossare vestiti decorosi.
Hanno accentuato la naturale predilezione per la semplicità mostrando la bellezza dell'umiltà, attraverso i loro insegnamenti, il tè è entrato a far parte della vita quotidiana della gente.
La sukiya in fondo al ROJI ("sentiero rugiadoso")