I Giardini Giapponesi
Quando si cerca di raccontare il giardino giapponese, diventa impossibile non fare riferimento continuo ai concetti filosofici,
dovuti alla fede, allo stile di vita, a quel modo di concepire la natura; ecco, tutte queste cose messe assieme, nell’estremo oriente è “Zen”. Questa forma di pensiero si è formata con gli anni e si è evoluta sopratutto nel Sol Levante, grazie a monaci buddisti che l’hanno resa comprensibile anche a persone di umile cultura.
Nell’insegnamento, questo era un modo di avvicinarsi agli dei e alla natura; essendo i monaci anche realizzatori dei giardini all’interno dei monasteri in cui vivevano, era inevitabile che il pensiero Zen e la tecnica di giardinaggio si fondessero. Un po’ come i nostri frati occidentali che nel medioevo si occupavano di sperimentare prodotti orticoli, in “primis” piante medicinali, naturalmente tutto questo era circondato da un alone religioso e filosofico, che per i monaci, si trasformava in “Hora et labora”.
Ed è per questo che tutta la storia antica e moderna del Giappone è impregnata di filosofia, si nota nel loro stile di vita, nella cerimonia del tè, nella scrittura, nella pittura, e soprattutto nel giardino, lo si vede nel modo di potare le piante, nel posizionare le pietre nel creare giochi di luci e ombre, creando una certa atmosfera che dona pace e tranquillità all’osservatore.
Descrivere solo la tecnica di come deve essere realizzato il giardino giapponese, senza introdurre continuamente concetti filosofici, è come descrivere tecnicamente la costruzione di un classico giardino, cosa già fatta da molti altri. E’ risaputo che chi si avvicina al giardino giapponese è perché tendenzialmente è aperto all’arte e ai concetti filosofici, soprattutto al pensiero Zen. Personalmente conosco persone che, a questi concetti non sono interessate, e che naturalmente tutta questa filosofia di cui si parla tanto per loro rimane un concetto incomprensibile e probabilmente qualcosa di noioso. Termino citando un antico proverbio orientale che dice: “Se vuoi essere felice un giorno, bevi del vino! Se vuoi essere felice un anno, sposati! Se vuoi essere felice tutta la vita, allora cura il tuo giardino con amore e con passione”. Non credete anche voi che in questa pillola di saggezza si nascondi un concetto filosofico?
L’atteggiamento verso la Natura
Tutti sappiamo quanto il popolo giapponese sia vicino alla natura, c’è però da dire che più che vicino alla natura, esso se ne sente un partecipe e non padrone, riconoscendo nell’animo umano una componente “naturale”, che non è altro che la diretta espansione dell’ambiente che circonda l’uomo. Il culto giapponese per la natura che lo circonda ha radici antiche, che addirittura affondano nell’alba della storia nipponica.
Il fenomeno naturale era sentito come una componente potente e sublime, meravigliosa e terribile, ed ancora oggi costituisce la base della religione tradizionale giapponese, lo Shintoismo. Tale credo religioso attribuisce un’anima ad ogni manifestazione naturale, sia essa un elemento inorganico come una roccia, o più semplicemente per una pianta, oppure un evento transitorio quale un acquazzone con tuoni e fulmini o un’alba con i suoi colori accattivanti.
Questi “spiriti” vengono definiti Kami, alcune volte non benevoli, richiedono una particolare venerazione in virtù della loro superiorità, senza andare oltre. Già attorno al IV secolo vennero costruiti dei santuari dedicati a diverse divinità, indicando l’inizio dell’ area consacrata mediante un Torii, ovvero un grande portale, solitamente in legno. Tra il IX ed il XII secolo tali santuari furono integrati da templi buddisti, che però non si sostituirono alla precedente architettura, bensì, nel più puro stile nipponico, cercarono di fondersi rispettosamente tra le opere artistiche e il paesaggio naturale preesistente. L’amore per la natura ne vuole dunque esaltata la bellezza, ed è forse a tale fine che si deve la perfezione raggiunta dall’arte della disposizione floreale, l’Ikebana, che conosce il suo momento di splendore nel periodo Momoyama. Ancora oggi, nonostante la progressiva evoluzione e la scissione in varie scuole, i tre elementi vegetali fondamentali dell’Ikebana rappresentano il Cielo (Shin), l’Uomo (So) e la Terra (Gyo), combinati in un insieme armonioso dove i rami e i fiori, sebbene recisi, non perdono la loro vitalità.
L’età feudale
L’indebolimento della classe nobiliare della tarda epoca Heian è concomitante con la crescente presa di potere da parte della classe guerriera, che vede stabilirsi il nuovo centro del potere militare e politico a Kamakura, da cui viene il nome dell’epoca successiva (1192-1338 ). Le famiglie dei Samurai, sebbene non potessero competere con l’autorità imperiale, erano tuttavia alla ricerca di una propria identità. La pulsione spirituale dei Samurai trovò il giusto sfogo nella scuola filosofico religiosa del Buddismo Zen, che ben si adattava allo stile semplice, sobrio e spartano della classe guerriera. Diversamente dal Buddismo di Amida, lo Zen promette una soddisfazione in questo mondo, in cambio però di una rigida applicazione e disciplina mentale, riponendo fiducia nelle capacità meditative dell’uomo.
Il “Giardino Secco” (Karesansui), sviluppatosi successivamente, è un tipico esempio di tali condizioni: composto da rocce, sabbia e pochissimi o nessun vegetale, è l’espressione più tipica della semplicità, o addirittura del minimalismo tipico dello Zen. Le recinzioni, di pietra o vegetali, che celavano i giardini Zen al loro interno non offrivano pura distrazione estetica all’osservatore, ma un paesaggio che richiedeva una mediazione spirituale e un certo sforzo intellettivo. La tranquillità interiore che lo Zen prometteva attirò di conseguenza la classe guerriera, avvezza all’autodisciplina, ma al contempo esasperata dalla barbarie e dalle sanguinose lotte che dilaniavano il paese.
Il giardino giapponese moderno
La fine dello Shogunato dei Tokugawa, e del periodo di isolamento dell’arcipelago nipponico, già in fase di conclusione all’arrivo del commodoro Perry, avvenuto nel 1853, avevano causato dei grandi cambiamenti sociali, sebbene l’impronta tradizionale del Giappone feudale non fosse stata cancellata. Si andava però diffondendo un sentimento ammirato e curioso per la civiltà occidentale, che ebbe evidenti risvolti anche nell’arte del giardino
Come ho già detto, arbusti sempreverdi sono la spina dorsale del giardino giapponese, molti di questi cespugli fanno un doppio lavoro, aggiungendo al fogliame verde la produzione di fioriture stagionali, invece alcune piante perenni come iris e ellebori offriranno interessante fogliame per tutto l'anno, buona cosa sarà quando si utilizzano piante erbacee come hosta e felci, accostarle alle vaschette dell’acqua (tsukubai) o alle lampade votive.
Il desiderio di possedere i nuovi edifici in stile occidentale, e la conseguente necessità di costruire per essi dei giardini diversi da quelli tradizionali, spinse i giapponesi a copiare modelli stranieri, anche se, nella più pura tradizione nipponica, il gusto estetico d’oltremare non venne mai adottato in modo nè da sostituire integralmente, nè da prevalere su quello autoctono. Già nel periodo Tokugawa, nella città di Nagasaki, si trovavano gli insediamenti di portoghesi, olandesi e cinesi, la cui influenza culturale riuscì a filtrare nella compagine nipponica. Proprio in quel periodo, un gruppo di pittori la cui arte era volta all’uso di colori smorzati e tratto morbido, da loro nacque il movimento letterario Bunjin, che, come per la scuola monocromatica di quattro secoli precedente, preferiva dipingere i paesaggi del continente, l’influenza di questo stile venne adottata in seguito dai giardinieri dell’epoca, che cercarono di imitare questo modo di dipingere, utilizzando pochi vegetali dai colori sobri e le pietre dalle linee morbide.
Tra i promotori che nel XX secolo contribuirono all’elevazione del giardinaggio come arte, il più fulgido esempio fu Shigemori Mirei (1896-1975), il quale volse la sua vita al recupero dei livelli artistici raggiunti dalla cultura nipponica del passato. La sua formazione ebbe luogo presso l’Accademia delle Belle Arti di Tokyo, che lo preparò anche alla cerimonia del the e all’ikebana, affinando così in lui il gusto per il senso estetico giapponese.