Ice falling water (pino mugo)

La ricerca delle piante con uno spiccato carattere è una delle cose che più mi affascinano nell’Arte del Bonsai

Per me lo Yamadori è per eccellenza il materiale migliore dal quale far emergere un bonsai dall’ottimo potenziale.

Nelle mie frequenti e lunghe passeggiate in montagna sono sempre alla ricerca di materiale che per caratteristiche e particolarità possa diventare un bonsai “unico”.

La fortuna di lavorare su materiali di questo genere mi appaga pienamente degli sforzi costanti fatti riponendo tante energie in questa mia grande passione.

 

Il materiale oggetto di questo articolo è un pino mugo “uncinata” proveniente dalle Alpi Svizzere (2006). Il pino mugo “uncinata” è tra le varietà di pino mugo quella che a livello vegetativo si comporta in modo più simile al pino silvestre: forte vigore, facilità di produrre gemme arretrate e quindi di compattare la vegetazione ed infine varietà che risente molto meno degli stress post trapianto e lavorazione.
Il pino Mugo in generale nelle sue diverse varietà (uncinata, turra, pumilia, ecc. ecc.) porta caratteristiche di legna secca e vene che non hanno nulla da invidiare ai ginepri.

Gli areali di crescita del pino mugo che si spinge in altitudine fin sotto i picchi rocciosi sopra i duemila metri, in zone impervie, fa si che gli agenti atmosferici modellino i tronchi delle piante creando forme contorte e bizzarre con molta legna secca, dovuta alle frane ed ai movimenti della neve al disgelo, movimenti che strappano la corteccia delle piante creando shari e jin naturali.
Gli alberi si adattano a queste condizioni e creano vene vive che scorrono lungo il tronco per alimentare la vegetazione e sfuggire alla morte.
Come detto anche questo mugo porta evidenti nel suo DNA le caratteristiche sopraelencate: un movimento estremo del tronco che si avvita più volte su se stesso, una vena viva che segue lo shari per tutta la sua lunghezza. Sicuramente uno yamadori dallo spiccato carattere.

Crescendo in ambienti “estremi” dove la lotta per la sopravvivenza si gioca su un “fazzoletto” di terreno, il pino mugo con l’evoluzione ha imparato che il proprio sviluppo è molto più facile da effettuarsi tramite propaggine piuttosto che con la normale propagazione da seme.
Quindi molto spesso all’interno della mugheta si trovano esemplari che hanno radicato in diverse zone del tronco e dei rami per creare piante secondarie, e ancora più spesso tendono ad abbandonare il nebari originario, favorendo le nuove radici che si sono sviluppate in posizioni di accrescimento più strategiche.
Questo pino mugo come descritto originariamente possedeva due apparati radicali (la base originaria ed il secondo nodo che trovandosi appoggiato sul terreno aveva prodotto abbondanti radici). La base originaria però era oramai inattiva pertanto la pianta viene rinvasata in posizione inclinata per sollevare la prima parte del tronco e portare la vegetazione in cascata. Viene ripulita la prima parte del tronco per scolpire il grosso jin ed evidenziare il movimento a trivella della parte morta.

Un grosso ramo tagliato al momento della raccolta in natura viene anch’esso trasformato in jin seguendo l’andamento a spirale delle fibre del legno. In questo caso lavoro solamente servendomi di attrezzi manuali per rispettare la natura del legno (2008).
Nel pino mugo spesso la parte più interna del legno marcisce , anche questo è uno stratagemma per la sopravvivenza, non è raro trovare piante che hanno radici all’interno del proprio stesso tronco per nutrirsi del legno in decomposizione. In natura ogni risorsa va utilizzata nella lotta per la vita.

E’ evidente ora il punto dove la pianta aveva ricreato il suo apparato radicale, la vena viva che parte dalle radici verso la chioma è ben marcata. La legna secca ripulita viene trattata con il fuoco per eliminare i residui della lavorazione ed in seguito bagnata e protetta con liquido jin. Il doppio movimento a spirale del tronco è ben valorizzato e conferisce alla pianta una drammaticità tipica dell’ambiente estremo da cui proviene.

A fine agosto 2009 sono stato invitato come dimostratore al “Late Summer Meeting” nel giardino del famoso bonsaista tedesco Walter Pall.
Durante la giornata ho eseguito il primo lavoro sulla chioma di questo pino mugo.
Con l’applicazione di rafia ed alcuni tiranti i due grossi rami che compongono la disordinata chioma vengono avvicinati in modo da poter costruire apice e ramo primario nel disegno finale in cascata del futuro bonsai. I rami vengono legati e messi in posizione cercando di creare un fluido scorrere tra parte morta e parte viva.
La pianta al termine di un ulteriore step di lavorazione sulla chioma nell’Autunno 2011. Credo che in questo pino si possano riscontrare tutte le caratteristiche della specie descritte in precedenza che ne fanno un ottimo materiale per bonsai sempre nel rispetto dei tempi fisiologici di questa essenza.
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